Regno costituito il 7 aprile 1815 con un atto imperiale di Francesco I
d'Asburgo: comprendeva le province lombarde (ex ducato di Milano e Mantova) e
venete (con il territorio ferrarese a Nord del Po, di dominio pontificio)
annesse all'Impero austriaco dal giugno 1814. Il regno fu diviso in due zone
distinte, aventi per spartiacque il fiume Mincio, entrambe con un governo
indipendente (governi generali): uno, con sede a Milano, amministrava i
territori a occidente del Mincio; l'altro insediatosi a Venezia, si occupava
delle terre a oriente del fiume. Il governo generale lombardo era suddiviso in
nove province: Milano, Brescia, Cremona, Mantova, Como, Bergamo, Crema e Lodi,
Pavia e Valtellina (l'attuale Sondrio). Il governo veneto invece era costituito
da otto province: Venezia, Padova, Treviso, Vicenza, Verona, Belluno, Udine e
Polesine. Ciascuna provincia era articolata in distretti e questi, a loro volta,
in comuni. L'imperatore era rappresentato da un viceré (un arciduca) che
divideva la sua permanenza nel Regno fra le sedi di Milano e di Venezia. Alle
dipendenze del viceré erano nominati un governatore e un consiglio
governativo residenti ciascuno nella zona di propria competenza e direttamente
dipendenti da Vienna. A capo di ogni provincia era posto un commissario, facente
le funzioni di prefetto. A lui spettava l'amministrazione provinciale e in
questo era coadiuvato da un consiglio provinciale formato da nobili o da grandi
proprietari nominati direttamente dall'imperatore. La polizia, cui era affidato
l'ordine interno, disponeva della
gendarmeria e su tutto il territorio
della
censura, che aveva il duplice scopo di controllare la
corrispondenza e di fiaccare qualsiasi movimento di opposizione. Gli Austriaci
introdussero nel 1816 nei territori italiani i propri codici amministrativi e
legislativi, mantenendo in vigore del passato regime francese solo il codice di
commercio introdotto da Napoleone. Istruzione, servizio militare e giustizia
erano in mano austriaca. I soldati reclutati fra gli Italiani venivano mandati a
compiere il loro servizio in Austria o in Ungheria. Due direttori didattici,
residenti uno a Milano e l'altro a Venezia, sorvegliavano ogni ordine del
sistema scolastico. Per l'amministrazione della giustizia erano in uso gli
stessi codici vigenti in Austria: esistevano tribunali provinciali, mentre la
corte di appello aveva sede solo a Milano e a Venezia. In ogni capoluogo di
provincia c'erano una pretura e un giudice politico che trattava i reati contro
gli ordinamenti di polizia. Solo l'imperatore aveva facoltà di approvare
o di commutare le sentenze di condanna a morte o concedere la grazia. Tutto
ciò che riguardava la religione era in mano al patriarca di Venezia per
il Veneto e all'arcivescovo di Milano per la Lombardia. Sotto gli Austriaci il
commercio e l'agricoltura si svilupparono notevolmente e cominciarono a sorgere
anche le prime importanti industrie. Intorno al 1820 ebbero inizio i movimenti
politici di ispirazione antiaustriaca: prima a Napoli poi in Piemonte. I primi
processi politici non si fecero attendere: celebri furono quelli a carico di
Silvio Pellico e Maroncelli e di Federico Confalonieri. Aumentarono, da parte
austriaca, le restrizioni, la vigilanza, gli arresti, le perquisizioni. Molti
italiani si rifugiarono all'estero e di là organizzarono un'intensa
propaganda antiaustriaca. Nel 1831 si verificò un nuovo intensificarsi
della tensione, dopo l'intervento austriaco a favore dei Ducati di Modena e di
Parma e dello Stato Pontificio. All'inutile tentativo di Mazzini in Savoia
seguirono nel
L. nuovi processi, con una ventina di condanne a morte che
il nuovo imperatore Ferdinando I tramutò in pene diverse. L'atteggiamento
austriaco verso la popolazione italiana subì un sensibile peggioramento e
dopo la prima sfortunata guerra d'indipendenza e il
L. tornò sotto
gli Asburgo. La lotta contro il dominatore si fece ogni giorno più
intensa. Dopo la rivoluzione del 1848 il governo del regno fu affidato nelle
mani di un unico governatore civile e militare nella persona del maresciallo
Radetzky, che instaurando un pesante regime poliziesco contribuì a
incrementare lo spirito patriottico e l'insofferenza verso la presenza
austriaca. Al congresso di Parigi del 1856 si profilò la soluzione della
questione italiana. Si formò la Società Nazionale con Manin,
Pallavicino e l'appoggio di Cavour. Intanto il viceré, l'arciduca
Massimiliano, tentò di correre ai ripari, ma nel 1859 gli Asburgo, con la
pace di Zurigo, dovettero rinunciare alla Lombardia; dopo il 1866 anche il
Veneto passò nelle mani di Napoleone III che lo cedette a Vittorio
Emanuele II, secondo i termini previsti nella pace di Praga. Il regno del
L. cessava di esistere.